«Ehi Umbe, hai sentito di Scott?». Era l’8 maggio 2018, quando rispondevo che sì, avevo sentito e speravo tanto che lo ritrovassero presto. Il giorno dopo non trovarono lui, ma il suo corpo senza vita, lungo le sponde di un estuario del fiume Forth. A soli 36 anni ci lasciava Scott Hutchison, uno dei più talentuosi e sensibili songwriter che la Scozia abbia mai accolto. Un ragazzo fragile, come l’hanno sempre descritto i suoi compagni d’avventura. Non a caso quel nome per la band: “Frightened Rabbit”, coniglio spaventato.
Una voce unica nel suo genere, che sembrava tremasse, incerta, timorosa, eppure talmente potente a livello espressivo da far vibrare insieme ad essa anche il terreno sotto i nostri piedi. Era come se riempisse la stanza, pur uscendo da cuffie e altoparlanti. Come se ti stesse confessando di persona le sue paure e le sue speranze. A volte era come se chiedesse aiuto, altre era lì per offrirlo.
Anticipava la sua tragica fine nel 2008, in “Floating in the Forth”, la tredicesima traccia del piccolo capolavoro “The Midnight Organ Fight”. Dieci anni dopo, sul brano disse: «È tutto reale. Ho completato il 90% del percorso raccontato nella canzone. Ma scalda il cuore sapere che ho passato tutto questo e ora sto in piedi sul palco a cantare quel brano, vivo e sentendomi bene nel farlo.» Da lì a poco Scott, purtroppo, decise di portare a termine anche il restante 10%. Poco prima dell’addio scrisse: «Please, hug your loved ones». L’ha chiesto per favore. Non era un consiglio, era una supplica. Perché lui, purtroppo, non ci era riuscito.
Tanti auguri Scott, un abbraccio da tutti noi piccoli conigli spaventati che nelle tue canzoni, nelle tue parole, abbiamo trovato comprensione, calore, rifugio. Grazie.
«And fully clothed, I float away
(I’ll float away)
Down the Forth, into the sea
I think I’ll save suicide for another day»