Dave Gahan nel 1996 muore, e lo fa per almeno tre minuti buoni. Clinicamente andato all’altro mondo. Overdose di speedball, la stessa mistura di coca ed eroina che si è portata via Layne Staley e John Belushi. Per lui però il tunnel di luce si chiude e viene ricacciato indietro. Probabilmente c’è ancora qualcosa da fare. Apre gli occhi e dice testuali parole: «Do you mean this horny creep?». Dici a me? Questo essere eccitato e strisciante, intendi proprio me? E pare dirlo a qualcuno che, una volta tornato nel mondo dei vivi, non c’è più. Forse la misteriosa risposta ad una domanda fatta dal Diavolo in persona, appena prima di spingerlo nella direzione opposta alla sua Redenzione? Fatto sta che questo teaser del mondo dei morti diventa, nel 1997, il primo soffio di un album che ti avvolge in un caldo, gelido abbraccio, il primo verso della prima canzone di “Ultra”: “Barrel Of a Gun”. I primi, disperati passi di un viaggio che ti fa assaporare l’intensità, la bellezza e la tensione emotiva che può derivare solo da uno sguardo oltre l’orlo del baratro, conseguente all’epifania di una decisione terribile e definitiva, il crocevia di un adesso o mai più, il muro che si avvicina a tutta velocità quando i tuoi freni sono andati a farsi fottere, lo sguardo umano dietro il buco nero della canna di una pistola impugnata da una persona che ha deciso di premere il grilletto. “Ultra” sussurra parole dolci dalla Zona Morta.
C’è un punto di impareggiabile ispirazione proprio ad un passo dall’oblio definitivo. Arrivarci e tornare indietro per raccontarlo è un’impresa che richiede un prezzo da pagare, che ti sporca, qualcosa che la natura ha deciso debba rimanere celato, e che per una romantica disfunzione cosmica smette di esserlo, un porto sepolto riportato alla luce. Questa poetica è tra noi, ma non sarà mai parte di noi, perché non farà mai parte delle cose vive. I Depeche Mode diventano, in quel 1997, come il tizio che da qualche tempo ha preso una brutta china, che ha intessuto frequentazioni sbagliate (in quegli anni il grunge era al suo apice commerciale e Dave Gahan dichiara in più occasioni di ascoltarlo e di apprezzarlo), uno che in città si dice non stia per niente bene, un’altra brutta storia senza speranza di lieto fine. Uno che, come si dice, ha fatto accomodare sulla sua spalla una brutta scimmia, ma pur sempre uno che ha delle grandi storie da raccontare. I precedenti album, “Violator” e “Songs Of Faith And Devotion”, convergono in “Ultra” come affluenti che portano il lato dark e rock alla massima potenza. Chitarre e batteria che amoreggiano con sintetizzatori, versi e ritornelli, tutto viene da quel mondo parallelo, al di là della percezione, rappresentato dall’anticamera dell’Inferno che lo stesso Dave Gahan ha visitato, per poi tornare nel mondo a raccontarlo. Per mostrare come guardare l’amore attraverso la lente della morte, una cosa che “Ultra” fa come pochi altri album nella storia.
Foto copertina di Henry Ruggeri