Penso abbia fatto bene Thom Yorke a rifiutarsi per tutti questi anni di dare una chiave di lettura per il video di “Just” dei Radiohead. Bravo. È proprio così che si alimenta il mito. Ed eccomi infatti: basta un espediente come l’anniversario dell’album “The Bends” a riportarmi ancora una volta su quel marciapiede, di fianco a quel povero diavolo sdraiato in posizione fetale, scervellandomi per capire cosa gli fosse preso, cosa avesse visto o pensato per ridursi così, inerme. Ho provato il bisogno di saperlo dalla prima visione di quel video. Come se quell’unica verità fosse la grande rivelazione che le racchiude tutte in un posto solo. Il Santo Graal della conoscenza, la risoluzione di quel grande enigma che ci separa dalla felicità. È un’immagine che mi perseguita, posso dirlo senza problemi. Un arrendevole, disperato povero cristo riverso sul marciapiede di un giorno qualsiasi, in un contesto urbano qualsiasi, continua a tornarmi alla mente e continua a farlo da quando l’adolescenza ha ceduto il passo all’età adulta. Perché? Perché è un perfetto esempio di finale “ad interpretazione”, ecco perché. E la domanda successiva inevitabilmente diventa: «Gli altri pensano quello che penso io? Sono arrivati ad una conclusione più efficacie, più universale? Sono io totalmente fuori strada? Cosa dice questo di me, di come sono veramente?».
È stato chiaro col tempo che non avrei dovuto concentrarmi sul messaggio, ma sulle metafore suggerite dal contesto. Stephen King ha sempre detto – e lo ribadisce nel suo bellissimo trattato sulla sua concezione di scrittura ”On Writing” – che gli avverbi sono l’orpello inutile dove si nasconde il Diavolo in persona. Ma non è questo il caso, anzi. Il titolo dice esserci qualcosa di definitivo, semplice, potente, racchiuso all’interno di una concreta e ben definita epifania. Just. A questo punto potete metterci quello che volete dentro. Sta qui la genialità di un’opera d’arte, no? I passanti e il poliziotto che reagiscono con violenza allo status “particolare” dell’uomo sono la società al cospetto del diverso, del non conforme. «Si sente bene? È caduto?». Tutte quelle persone senza volto, pezzi di un meccanismo complicato ma privo di un senso apparente, cercano la risposta alla verità che rimane sempre celata ai nostri occhi. Quell’unica sentenza sancisce il prilivegio della sua stessa natura, in contrapposizione ad un’umanità che invece preferisce farsi cullare dalla menzogna, perché più confortevole e in qualche modo appagante. Ma la ricerca della verità è una cosa innata nella nostra specie, per fortuna e che ci piaccia o meno, e una volta che l’anomalia ti si para davanti e sbarra la strada allora devi sapere, a qualunque costo.
Sono passati 26 anni da “The Bends”, l’album che più mi ricorda i Radiohead “rock”, quelli che ancora potevi riconoscere in un ritornello, un assolo di chitarra, una costruzione ancora classica di canzone. Poi sono diventati degli alieni e ci hanno portato in posti sconosciuti e bellissimi. Ma ancora prima di quei giochi di prestigio ricordo il bianco e nero di “Street Spirit” e i colori pastello di “Fake Plastic Trees”. Spesso mi tornano in mente più le immagini dei loro videoclip che le loro note, perché l’iconografia è sempre stata centrale nello sviluppo artistico del gruppo. E in mezzo a queste immagini l’uomo a terra è sempre stata quella che più ho faticato a tenere separata dalla mia quotidianità, proprio per quella minaccia costante alla mia comfort zone umorale. E l’uomo sa bene che la sua verità rappresenta una minaccia all’illusione che perpetriamo a difesa di uno status effimero, che si autoalimenta e del quale noi siamo le pile che lo tengono in vita, come Matrix.
Insomma, ecco la mia versione di verità: quell’uomo banale, vestito con un anonimo vestito da ufficio, con un anonimo taglio di capelli, con i suoi lineamenti dimenticabili, che continua ad ammonire sullo scoprire il velo e che mette in guardia più volte di fronte alla richiesta di chiarimenti sulla sua verità, è come quell’oracolo che si trova davanti Atreyu nella sua Quest, alla ricerca della cura salvifica per la Principessa di Fantasia. Ricordate, “La Storia Infinita”? La prova più difficile di tutti, quella innanzi alla quale valorosi guerrieri sono fuggiti urlando dal terrore. Il vero Io. Quello che rivela a uomini valorosi di essere in realtà dei codardi, i buoni dei crudeli sotto inconsapevole copertura. Lo Specchio che rivela la vera natura del tuo essere, una porta che ognuno ha dentro e che tutti si premurano di tenere ben chiusa. «You want to know why I’m lying here?». Eccovi accontentati: ho visto il mio vero volto.
Foto copertina di Mathias Marchioni.