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Natasha Shneider viveva a Riga, Lettonia, ancora Unione Sovietica negli sfavillanti anni ‘80. La sua famiglia era di origine ebrea, i genitori entrambi musicisti. L’America per lei era un sogno da realizzare, un viaggio che aveva il significato di un traguardo per una ragazza bellissima che amava cantare, suonare e recitare. Dopo le prime porte in faccia si è allontanata e ha divorziato dal marito che insieme a lei aveva intrapreso questa avventura in terra straniera. Lui si chiamava Kapustin, ma poco importa, perché esce immediatamente dalla nostra storia, e non lo rivedremo mai più.

È nel 1987 che nacque la storia d’amore barocca che ancora oggi prendo come ispirazione e come ideale speranza nell’umanità. Incontrò Alain Johannes, origine cilena, musicista eclettico e geniale, omino dalle forme perlopiù tondeggianti che emana simpatia all’istante. Avete presente il titolo di quella canzone bellissima dei Blind Melon, “Soul One”? Così si definisce un’anima gemella ed è un’espressione incredibilmente efficace, non trovate? L’anima per te, l’unica, quella che ti è stata riservata dal destino, una in mezzo a miliardi di unità, momento singolo di ordine nel bel mezzo del caos di infinite ere umane. Se perdiamo quella fermata, cosa ci rimane? Sono convinto sia meglio non saperlo, e non perdersi nell’Universo delle Mancate Possibilità.

Alain era un predestinato, ebbe fortuna e la incontrò. Talento che veniva da lontano, bella da togliere il fiato, con due occhi azzurri grandi e magnetici. Il destino però, lo sappiamo troppo bene, gioca brutti scherzi e questa, senza inganno, è una storia d’amore tanto romantica quanto tragica. Nel percorso di Alain è previsto il privilegio di incontrare la sua Anima Uno, ma anche la maledizione di doverle dire addio. La perse, prestissimo, nel 2008, e da quel momento in poi la sua storia proseguì a spasso per il mondo, a vivere una vita da incompleto. Un male incurabile la sradicò dal nostro mondo, lasciando i decenni che hanno vissuto insieme nel cuore di fan e di musicisti che con loro hanno convissuto arte e avventure.

Il loro amore si concretizza con la musica, è il loro lascito, la loro progenie. Gli Eleven erano il gruppo che avevano fondato insieme a Jack Irons, batterista che ha suonato anche con Pearl Jam e Red Hot Chili Peppers. Ma la loro traccia indelebile nel mondo del rock va ben oltre. Hanno lasciato il segno soprattutto nei primi anni 2000 sui palchi e negli studi di registrazione del collettivo stoner Desert Sessions, lui imbracciando la chitarra e lei dalla parte opposta del palco, china sulla tastiera come un drago che difende il suo tesoro nella pancia di un’antica montagna. Su due dischi dei Queens of The Stone Age come “Songs For The Deaf” e, soprattutto, il successivo “Lullabies To Paralyze”, che hanno non solo suonato in giro per il mondo ma che hanno anche contribuito a comporre. Nel supergruppo Them Crooked Vultures, insieme a Josh Homme, Dave Grohl e John Paul Jones. Alain ha suonato e prodotto per PJ Harvey, Arctic Monkeys e Mark Lanegan. Ma non finisce qui, ascoltatevi gli Eleven e poi ascoltate l’acclamato primo album solista di Chris Cornell, “Euphoria Morning”, tutt’oggi considerato il suo migliore. Scoprirete quanto i due stili musicali siano simili.

Pochi sanno che il trio formava un sodalizio ispirato, erano in pratica una band, un progetto che ha plasmato il suono, le canzoni, e che hanno portato insieme in tour in tutto il mondo. L’ultima volta che ho visto Chris Cornell in concerto, al teatro degli Arcimboldi a Milano nel 2016, ha cantato “When I’m Down” dal suo album solista del 1999 e in accompagnamento alla voce ha messo sul piatto che teneva al suo fianco il vinile con la traccia originale di piano di Natasha, tributando un tenero saluto e dimostrando di non averla mai dimenticata.

Tutti i musicisti ricordano i due come una coppia affiatata, innamoratissima, cosa che nel mondo della musica e dello star business in generale è un’anomalia degna di rilevanza e capace di nobilitare gesti che per altri possono risultare banali. Alain continua ancora oggi a suonare e a produrre musica nel ricordo della sua amata, ogni nota è imbevuta di una devozione senza compromessi che non lascia indifferenti nemmeno i cuori duri del rock. Condivide sui social foto e ricordi bellissimi, di loro soli o insieme ad altri musicisti, di live e di party, dove spiccavano quasi come un’entità divisa dal resto, solida e inseparabile se non dallo stesso destino che l’ha creata.

Una delle verità più solide della musica è che se c’è nel mondo una Soul One a te riservata, il modo migliore per trovarla è farlo attraverso le note di una canzone. L’ultimo ricordo di Alain, fonte Instagram, è di qualche giorno fa, in occasione del compleanno di Natasha il 22 maggio scorso, con questo messaggio sotto una sua foto in bianco e nero, dove è ritratta in tutta la sua bellezza mentre volge lo sguardo al cielo: «Born on this day, my endless inspiration».

L’album solista del polistrumentista, “Spark” (2010), è un toccante tributo al suo amore perduto, sua scintilla accecante, al tempo stesso fugace e eterna come una stella morta in qualche angolo remoto della galassia, a tutti gli effetti scomparsa ma che continueremo a vedere per migliaia di anni nel firmamento, per l’effetto di qualche legge fisica indistinguibile dalla magia.

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So walk tall, or baby, don't walk at all.