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Mi chiamo Winston. Sì, ho anche un cognome, ma non è importante. Solo Winston. Ho sedici anni e sono appena arrivato a New York, la città che non dorme mai, il perno della cultura occidentale, il centro del mondo. Insomma, Lei. Ho per le mani la mia amata copia di “Imagine” di John Lennon, stampata nel 1971 ma regalatami da Sarah un anno fa. Sarah diceva che aveva ragione quel critico lì, coso, sua eminenza, a dire che era un buon album ma nulla di più. Che era molto meglio “John Lennon/Plastic Ono Band”, dell’anno prima. Sarah però diceva anche che al primo ascolto aveva capito che io l’avrei amato, così me l’ha regalato. E aveva ragione, come sempre.

Oggi è l’8 dicembre 1980 e io, Winston, sono davanti al Dakota, dopo giorni di indagini e appostamenti, per farmi autografare il mio disco preferito. E a quanto pare non sono l’unico ad aver elaborato questo piano: c’è anche un simpatico signore. Vedo che mette via un libro con una copertina tutta bianca. Strano. Ha anche un vinile però. Oh, lui ha scelto “Double Fantasy” per l’autografo. Bravo, molto più sul pezzo di me!

«Ehi, Mr. Lennon! Piacere di conoscerLa. Volevo chiederLe un autografo su questo album. Lo amo, sa? Dentro c’è “How?”, la mia canzone preferita.»
Mentre ripasso il mio copione, sento lo stesso incipit pronunciato da un’altra voce. Lui, il mio rivale. Solo che c’è qualcosa che non torna, in quella voce. Ad un tratto il suo piano non sembra lo stesso che ho io. L’istinto da sedicenne mi proietta addosso a quel signore non più tanto simpatico che nel frattempo ha estratto una pistola. La prima pallottola finisce sulla facciata del Dakota, le altre quattro previste scompaiono dalla timeline. John e Yoko scappano, scappa anche il signore antipatico, mentre io resto a terra con la mia copia di “Imagine”, segnata solo dal cuoricino scritto a penna da Sarah, un anno fa.

Ma la verità è che io non mi chiamo Winston. Io mi sarei chiamato così, se i miei genitori avessero ascoltato “Please Please Me” dei Beatles, nel 1963, la sera in cui avrebbero dovuto concepirmi. Se l’avessero fatto io sarei nato e mi avrebbero chiamato Winston, sì, come John Winston Lennon, che sedici anni dopo avrei salvato dalla morte. Quella terrena, almeno. Dall’altra, è evidente, si è salvato da solo.

«How can we go forward when we don’t know which way we’re facing»

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So walk tall, or baby, don't walk at all.