Potreste perdere la ragione nel tentativo di trovare un filo conduttore alla miriade di progetti musicali della carriera di Mike Patton. Personalmente, sono giunto alla conclusione che il vero comun denominatore di tutta la sua produzione artistica stia proprio nella totale assenza di omogeneità. Il genio soggiacente al suo modo di approcciare l’arte è insito nella sua insoddisfabile fame di scoprire, di non rimanere mai nello stesso posto per più di un’esperienza alla volta.
Mike Patton mi ha sempre dato l’idea di essere un elemento instabile, da maneggiare come un artificiere farebbe con un tipo di bomba sconosciuto. Un momento ce l’hai di fronte, calmo e affabile, e un momento dopo, giusto il tempo di accenderti una sigaretta o stappare una bottiglia di vino, il tuo sguardo si posa su un viso uguale nei lineamenti, ma animato da tutt’altro spirito. Potresti ritrovarti ad affrontare un demone che ti guarda con i suoi occhi spiritati, dal basso verso l’alto, con il fare di chi sta tramando qualcosa di terribile e maestoso al tempo stesso.
Orbene, quando devi raccontare una storia che non si muove in linea orizzontale, ma è un caotico insieme di cose diverse che ti portano alla fine del percorso, quasi a concepirne il piano più alto, la forma migliore è una mini-serie antologica. “The Imaginarium Of Mike Patton” suddivide in capitoli il disegno assurdo e apparentemente sconfinato dell’ego di un artista geniale.
Capitolo 1 – Tomahawk
Bettole, facce butterate, il bignami del politicamente scorretto.
Un serial killer è protagonista del primo omonimo album. In particolare le sue motivazioni, le emozioni che si celano dietro le sue gesta. Insomma, qui Patton mette insieme musicisti di Jesus Lizard, Helmet e Melvins non certo per andarci sul leggero. Non lo fa quasi mai, andarci leggero, anche quando potrebbe sembrare. Manifesto di un tono sopra le righe è il video di “Rape This Day” (MIT Gas, 2003), il cui protagonista non si fa mancare niente, tra droga sesso e gioco d’azzardo. Si becca persino botte con una mazza da baseball da Nick Olivieri in persona, barista di una bisca per l’occasione. Si tratta di alternative music per teste calde, mano leste, canotte unte e denti d’oro, piscine assolate e oscuri vicoli da evitare sia di giorno che, soprattutto, di notte.
Capitolo 2 – Peeping Tom
Bombolette spray, street art, felpe e dj set sotto i ponti.
“Peeping Tom” in gergo inglese si usa per indicare un voyeur. Un guardone insomma, un pervertito. Ma questo progetto del 2006 ha il sapore di pionierismo musicale nel portare avanti il discorso crossover, la mescolanza di generi diversi e già conosciuti per crearne uno nuovo. Rap, scratch e freestyle sia nel reparto vocale che in quello strumentale, e questo è largamente fattibile quando al microfono hai Mike Patton. Campionature di ogni genere, tra rock e elettronica, persino colonne sonore. Alcune perle oggettivamente memorabili, come “Mojo” e “We’re Not Alone”, e featuring con Norah Jones (la sentite la citazione di “Shining” in “Sucker”?) e Massive Attack. Se vi piace il genere, ascoltate anche l’album “Music to Make Love to Your Old Lady By” dal progetto “Lovage” (2001).
Capitolo 3 – Mondo Cane
Spaghetti, mandolino e pistola.
Mike è sempre stato un italiano adottato per noti fatti personali, e lui ha ricambiato amando e studiando la nostra cultura. E non solo quella delle parolacce e bestemmie, di cui fa grande sfoggio appena sale su un palco nostrano. Ammetto di avere scoperto grazie al disco e al concerto dei Mondo Cane alcuni diamanti inestimabili della cultura cantautoriale italiana che prima non conoscevo del tutto o non nella giusta maniera, riportati alla luce da un archeologo innamorato, cantati e interpretati con impareggiabile tecnica ed espressività. Tenco, Paoli, Buscaglione, Modugno, Celentano, Morandi e molti altri ritrovano smalto e ribalta grazie a un progetto a metà tra rock, musica da camera e romanticismo italico. Grazie anche all’apporto di un grande numero di musicisti di altissimo livello, tra cui il nostro Roy Paci. Così, con uno sguardo “esterno”, questi tesori ritrovano un posto nei cuori di un vasto pubblico. Inestimabile.
Capitolo 4 – Mr. Bungle
Schizofrenia e sindrome di Tourette.
I Mr. Bungle sono appena rinati dopo lo scioglimento del 2004 con la pubblicazione di “The Raging Wrath of the Easter Bunny Demo”, quarto album in carriera. Dave Lombardo entra in formazione e infatti picchiano come dei bastardi, per un gruppo geniale che non ha mai regalato niente a nessuno, men che meno la sicurezza di una direzione musicale ben precisa e definita. Non si sa mai dove si va a parare in una loro canzone. Era il 1985 quando iniziarono e da molti era considerato un gruppo di nicchia. «Faith No More? Ma hai ascoltato i Mr. Bungle?». Faceva figo parlarne e dimostrare di conoscerli, indossare una loro maglietta e sfoderare un loro album. “California” è tra gli album più conosciuti, e dentro troverete la mia canzone preferita tra tutte. Ballata unica e disancorata da qualsiasi porto, come un bellissimo veliero fantasma disperso in alto mare: “Retrovertigo”.
Capitolo 5 – Fantomas
Il Fantasma dell’Opera, serial killer mascherato.
Maschera e mantello nero, criminale spietato e dotato di intelligenza diabolica, Fantomas è un personaggio tratto da un fumetto francese del 1911. Ma è anche il progetto experimental noise metal di Mike Patton, Dave Lombardo, Trevor Dunn e Buzz Osborne. La voce si destruttura fino a diventare uno strumento, comunicando più sensazioni e atmosfere che parole e concetti, in album che spesso sono concept basati su idee strambe. Molto strambe. Ascoltate ad esempio “Delirium Cordia” e troverete un unico lungo brano (74 minuti e 17 secondi) il cui tema centrale è la chirurgia, ma fatta senza anestesia. A prescindere da episodi stralunati, tutti dovrebbero provare l’esperienza offerta da “The Director’s Cut”, affresco dove l’amore per il cinema di Patton trova la sua apoteosi. Infatuazione che già emerge nei precedenti progetti citati (Mondo Cane, Peeping Tom, Mr.Bungle contengono tutti citazioni cinematografiche). Colonne sonore famigerate o ben note al popolo dei cinefili come “The Godfather”, “Cape Fear”, “Rosemary’s Baby”, “Twin Peaks: Fire Walk With Me” e “Investigation of a Citizen Above Suspiction” sono rivisitate con un tono di avanguardia, potenziata dai muscoli della musica metal.
Capitolo 6 – Mike Patton
Michael Allan Patton. Eureka, 27 gennaio 1968.
Le sue esperienze soliste (tra cui, in alcuni elenchi, troverete anche quella di Mondo Cane) sono in linea con il suo personaggio, e cioè infinitamente diramate, tanto che spesso è difficile determinarne il focus. Ma a me piace ricordare la sua recente esperienza di produttore di colonne sonore, come quella per “La Solitudine Dei Numeri Primi” – film tratto dall’omonimo romanzo del 2011 – e soprattutto di “1922”, film di produzione Netflix tratto da un formidabile racconto breve di Stephen King. La colonna sonora di Mike sta in piedi da sola e si mescola magnificamente alle inquietudini e alle crudeltà delle tematiche della storia. Ultimo episodio della sua carriera solista è lo strano, poetico, stralunato “Corpse Flower” del 2019, in collaborazione con il compositore francese Jean-Claude Vannier. Un lavoro ancora una volta spiazzante, che alterna labirintismi musicali ad aperture di una bellezza disarmante.
Capitolo 7 – Dead Cross
Scream, growl, vestirsi di nero e picchiare duro.
Hardcore e tanto thrash metal, con Dave Lombardo ancora una volta dietro le pelli a far tremare i pilastri della Terra. Estremismo controllato da tecnica e consapevolezza. Gran concerto è stato quel giugno del 2018 a Milano, furioso e spietato, annichilente. Velocità, concisione, violenza e melodie alla spicciolata. Un Mike leggermente appesantito dimostra alla luce dei fatti di non patire il tempo che scorre, quando adotta la postura che così bene conosciamo: ranicchiato a terra, gomito all’insù e sguardo spiritato.
Capitolo 8 – Faith No More
Nave scuola.
Non ho molto da dire sui Faith No More. Eh dai, scherzo! Ovvio che c’è tanto da dire su uno dei gruppi più innovativi della storia del rock. Hanno cambiato il volto dell’alternative rock. Sapete, io mi sono beccato in pieno il periodo post-grunge e del cosidetto nu metal, e per ognuno di quei gruppi che in quel periodo hanno avuto il loro momento d’oro, i Faith No More venivano immancabilmente citati alla voce “ispirazione”. Ma sarebbe riduttivo fermarci a quello. Anche molte delle band che sono venute dopo e di quelle contemporanee devono molto ai Faith. A quanto e come hanno lasciato un segno nell’immaginario musicale moderno è esempio una canzone come “Easy” (“Angel Dust”, 1992), una tra le meno rappresentative del sound del gruppo e cover più conosciuta dell’originale (Lionel Richie). Oppure “Epic” (“The Real Thing”, 1989), che con il suo titolo evocativo è manifesto di quella mistura di rap e melodia, alternative e metal chiamata crossover. Le loro canzoni possono essere funk, hard rock, possono farti ballare e pogare, cantare, urlare. Spiegare i Faith No More è impossibile, viverli è consigliabile.
Molti non sanno che Mike Patton non è stato il loro primo cantante. Prima di lui c’era un tale chiamato Chuck Mosley. Per sei mesi c’è stata una certa Courtney Love a cantare le loro canzoni. Ma la storia aveva in mente altro, aveva posato la sua attenzione su un folletto lunatico e incontenibile, che per quasi due decadi diventerà un sex symbol, uno dei frontman migliori di sempre, e che cambierà la musica e le vite di innumerevoli persone. Sempre ai vertici delle classifiche tecniche e di gradimento dei vocalist più dotati in circolazione. Una delle cose che più mi legano a Mike Patton è la passione condivisa per il cinema, e allora scomodiamo addirittura Hitchcock con un video, quello di “Last Cup Of Sorrow” (“Album Of The Year”, 1997), che cita apertamente “Vertigo”, noto a noi italiani come “La Donna Che Visse Due Volte” (1958).
Buon compleanno Mike Patton! Mille di questi giorni, di questi film, di questi balli sfrenati.
Foto copertina di Henry Ruggeri.